Il principio di non retroattività:
”ai sensi dell’art.1 co.21 l. n.208/15, “a decorrere dal 1° gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essa strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento. Sono esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo”.
Orbene, tale norma detta un preciso criterio di determinazione della rendita catastale degli immobili ivi considerati. Tuttavia, nessuna previsione costituzionale impone l’adozione di un regime analogo anche per il passato. Anzi, il principio basilare di cui all’art. 11 preleggi, secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire, fa sì che la regola generale sia quella della portata non retroattiva di una legge, nel mentre è la retroattività a costituirne l’eccezione. E poiché, nella specie, il legislatore si è limitato a fare applicazione della regola generale della non retroattività, la relativa norma si sottrae alle lamentate censure”.L’art. 11 delle Preleggi, costituisce il principio basilare secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire.
Nell’art.11, il legislatore del 1942 ha inteso fornire una chiave di lettura espressa sia in forma positiva “non dispone che per l’avvenire”, sia in chiave negativa “non ha effetto retroattivo”.
Ciò perché riteneva il principio della irretroattività fondamentale sia sul piano della certezza del diritto, sia su quello della tutela del cittadino e del legittimo affidamento, per cui risultava applicabile la norma, solo a fattispecie concrete avvenute successivamente all’entrata in vigore della norma stessa. Tuttavia, autorevole dottrina e giurisprudenza costituzionale hanno precisato che il principio della irretroattività non ha rango costituzionale, in quanto posto in essere da una norma ordinaria e come tale suscettibile di modifica con una norma di pari grado, sempre che il legislatore abbia una ragionevole giustificazione e comunque non incontri i limiti di particolari norme costituzionali.
Accanto alla disposizione generale dell’art.11 delle Preleggi, vi è però la disposizione normativa prevista dall’art.3 dello Statuto del Contribuente, che certamente come la stessa Corte Costituzionale ha più volte espresso, non può avere il rango di norma costituzionale, come tale non ha quella superiorità genetica richiesta.
Ciò non toglie che l’art.3 è una disposizione che ha valore di principio generale dell’ordinamento tributario, poiché risponde alla natura delle disposizioni tributarie, al contenuto normativo, all’oggetto, allo scopo e come tale è un’espressione rafforzativa del principio inerente all’ordinamento tributario. Su questo punto la dottrina più volte ha indicato il valore normativo delle clausole rafforzative, come norme attuative, delle disposizioni costituzionali che vengono richiamate dallo Statuto e come tali costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario. Pertanto, i principi statuari, non sono certamente diretti al futuro legislatore tributario, bensì si applicano a tutte le norme dell’ordinamento tributario (vedi Cass. Civ. Sez.5° del 14.04.2004 n.7080; Cass. Civ. Sez. 5° del 10.12.2002 n.17576).
L’intento del legislatore del 1942, era quello di disporre, l’irretroattività della norma, avendo l’obbiettivo di impedire che il legislatore introducesse delle disposizioni aventi carattere retroattivo peggiorativo che colpissero il cittadino-contribuente.
Nell’ambito del diritto tributario, l’efficacia retroattiva della norma ha valore di principio generale, salvi comunque i limiti costituzionalmente garantiti, anche questo sfuggito all’analisi del giudicante.
Il caso di specie però, prevede che la retroattività della norma abbia un effetto favorevole al cittadino contribuente, così come avviene ad esempio, nel diritto penale, quando un reato prima previsto come fattispecie tipica penale, viene cancellato, producendo l’effetto della non imputabilità e conseguentemente non punibilità, anche per il fatto commesso prima dell’entrata in vigore della norma abrogatrice.
Quindi se il principio dell’irretroattività nell’ambito tributario, in pejus, può talvolta essere superato, sempre con le dovute giustificazioni, sicuramente l’ipotesi della modifica in positivo, nel caso di specie, deve ritenersi applicabile anche alla situazione precedente, salvo espressa previsione contraria.
Inoltre, il legislatore non ha espressamente previsto, nell’art.1 comma 21 L. n.208/2015, l’applicazione della non retroattività della disposizione.
Infatti, ove il legislatore avesse ritenuto di confermare il trattamento in pejus del cittadino-contribuente ante 2016, avrebbe dovuto indicare espressamente, nella disposizione migliorativa, che l’inciso valeva solo per il futuro, e che tutto quello precedentemente previsto sino a tale data, doveva essere confermato insieme ai criteri impositivi precedentemente descritti. Tutto ciò non è stato fatto. La mancanza di ratio giustificativa, sarebbe stata necessaria al fine di impedire il contrasto costituzionale della norma impugnata, con la violazione anche degli artt. 3-24-53 Costituzione.
In alternativa, il legislatore avrebbe potuto prevedere un regime transitorio che serviva ad armonizzare le disposizioni tanto diverse e soprattutto ad impedire che la capacità contributiva, così come indicato nell’art.53 Cost., venisse pregiudicata.
Il fatto che il legislatore disciplini per il futuro, non implica che la normativa previgente sia incostituzionale. Ma il fatto che il legislatore disciplini in maniera così diversa un’identica fattispecie, anche con effetti migliorativi, nei confronti del contribuente, obbliga il legislatore o l’interprete Costituzionale a determinare un regime transitorio per i periodi antecedenti all’entrata in vigore della legge in oggetto, o alternativamente indicarne espressamente la non applicabilità: senza tali disposizioni la norma risulta incostituzionale.
Pertanto è quanto mai errata l’affermazione secondo cui la determinazione della rendita catastale è ancorata a dati concreti, poiché lo stesso criterio applicato o applicabile per il 2016 non potrebbe che applicarsi anche per il 2014.
Nel diritto tributario vale la regola del divieto di “reformatio in pejus”, salvo alcune eccezioni, per la “reformatio in melius”, deve applicarsi la normativa più favorevole al contribuente. Per evitare ciò il legislatore avrebbe dovuto espressamente prevedere l’inapplicabilità di detta normativa (cosa che non ha fatto), o per lo meno prevedere la disciplina del regime transitorio per i periodi precedenti.
Sicuramente nel regime transitorio il legislatore doveva prevedere la riduzione progressiva dell’imposta, con la conseguente inapplicabilità di sanzioni al contribuente.
Sanzioni: un trattamento così differente, in relazione al dato impositivo, doveva comunque trovare nel legislatore una disciplina che impedisse l’irrogazione di sanzione, per chi ritenesse incongrua la disciplina della precedente disposizione. Sotto ulteriore profilo, relativo alla illegittimità costituzionale, il non aver previsto l’eliminazione delle sanzioni, viola l’art.3 della Costituzione.
L'art.1 comma 21 della L. n.208 del 28.12.2015, e incostituzionale per violazione degli artt. 3-23-54 Costituzione, nella parte in cui non determina un regime transitorio di applicazione della norma, o nella parte in cui non ha espressamente previsto l’irretroattività della norma del 2016.
L'art.1 comma 21 della L. n.208 del 28.12.2015 viola l’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui disciplina in maniera differente situazioni identiche. Da tale data, infatti "la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E è effettuata tramite stima diretta, tenendo conto del suolo, delle costruzioni, nonchè degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l'utilità nei limiti dell'ordinario apprezzamento".
Ora, il non aver previsto la retroattività della norma e quindi l'applicazione del valore concreto rispetto alle valutazioni teoriche, anche per i periodi precedenti al 2016, costituiscono un profilo di manifesta illegittimità costituzionale in relazione all'art.3 della Costituzione, poichè tratta in maniera diseguale situazioni identiche, attribuendo valori diversi ad uno stesso immobile nel tempo, attraverso la stima diversa degli stessi ed irragionevolmente attribuendo rendite diverse allo stesso bene.
La mancata applicazione della stima diretta anche per i successivi periodi, recependo la norma introdotta e adeguandola al mutato corollario normativo.
Sotto ulteriore profilo, l'articolo in questione è incostituzionale, poichè attribuisce criteri diversi, dettati temporalmente per la valutazione e la stima del medesimo immobile.
Inoltre, la norma è foriera di essere censurata dalla Corte Costituzionale, poichè non ha previsto nè stabilito un regime transitorio relativo ai periodi antecedenti all'entrata in vigore della L. n.208/2015; creando una disarmonia normativa che deve essere colmata e corretta.
Avv. Antonio Malerba
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